UN MURO, UN TETTO, UNA PIAZZA: un nuovo scenario

Il progetto parte dall’interpretazione dello scheletro in cls come opera incompiuta.
Un’opera incompiuta sembra sempre essere in attesa di essere riconsiderata, riletta ed integrata, attraverso un intervento che sintetizzi e dia un senso a quello che attualmente è percepito come avulso dal contesto e isolato nella sua estraneità.
Il concept del progetto sintetizza la lettura del carattere delle architetture locali e la volontà di integrare l’attuale edificio con il contesto.
La strategia è stata quella di eliminare il secondo piano dell’attuale struttura e inglobare, in una annessione “ipogea” l’attuale piano terreno, annullando così l’impatto estraniante dello scheletro in cls. Dal punto di vista funzionale quel che è stato demolito viene distribuito all’interno degli ambienti sotterranei.
I temi del progetto potrebbero essere semplicemente sintetizzati in: muro, tetto, piazza e masharabiya.

UN MURO: definizione del confine, modellazione del suolo, architettura ipogea e integrazione
La lettura del contesto locale ha fornito la suggestione del muro, elemento massivo, forte e presente tra le architetture ischitane, esso è il muro di confine, di contenimento che cinge come una fortezza gli edifici separandoli dalla strada e disegna i percorsi pubblici, le strade e traccia direzioni.
Spesso presenta terrapieni con rigogliosi giardini, a volte è sormontato da lussureggiante vegetazione, o da rampicanti che ne rivestono le superfici.
Pertanto l’inserimento dell’edificio nel contesto è proprio passato da qua, ri-modellando il confine (attualmente segnato da un debole e banale muro senza carattere) dell’intervento con un muro in pietra locale che contiene e racchiude al suo interno l’espansione ipogea. Quest’ultima attornia tutto il piano terreno dell’attuale edificio e contiene all’interno le funzioni di armeria, parcheggi, celle e archivi in stretta connessione con le aree adibite ad uffici dislocate all’interno del piano terreno dell’attuale scheletro.
Il muro continuo traccia il contorno della strada e si spezza, intercettato dalla direzione dell’asse viario sud-nord che passa per il nodo stradale, generando uno spazio pubblico, una piazza.
Questa ri-modellazione del suolo, avviluppa, ingloba e annulla il piano terra riducendo la presenza dell’edificio incompiuto al solo piano primo (che contiene gli alloggi del capitano e del vicecapitano e le camerate) che emerge dal nuovo suolo verde e, come una lanterna, è posto sotto una copertura tecnologica che gli si staglia sopra.

UN TETTO: la grande copertura fotovoltaica ed eolica
La scelta di realizzare la grande copertura che caratterizza fortemente l’immagine della nuova stazione dei carabinieri, è scaturita essenzialmente da tre riflessioni parallele: da un lato la volontà di “annullare” ulteriormente, per quanto possibile, la geometria scatolare indifferente e debole dello scheletro esistente, attraverso la giustapposizione di una grande superficie che, assieme all’operazione di “inglobamento” nel suolo del piano terra e di trasparenza applicata all’involucro del piano primo, ha contribuito alla smaterializzazione dello stesso; in secondo luogo la copertura si è configurata come grande progetto di “ombra”, come scelta tecnologica ed energetica: l’idea di realizzare la grande lanterna semitrasparente al piano primo, infatti, mal si legava alle condizioni climatiche tipiche del territorio di Ischia e di Forio, rischiando di diventare una grande serra solare. In tal senso la scelta di realizzare una grande superficie di copertura quasi completamente chiusa e forata solo in punti ben precisi, si è configurata come soluzione semplice e chiara al problema dell’eccessiva irradiazione solare: accanto a tale scelta “passiva”, si è poi proceduto a dotare il grande tetto di dispositivi attivi di produzione dell’energia quali elementi fotovoltaici e turbine eoliche disposti secondo le direzioni e le inclinazioni atte a fornire la maggiore efficienza possibile; infine, la terza riflessione che ha guidato le scelte progettuali relative al grande tetto, è legata principalmente a osservazioni di carattere urbano: il territorio su cui insiste la stazione, costituito essenzialmente di piccole case bianche, regolari e in parte abusive, risente molto della mancanza di un elemento iconico, caratterizzante, “forte”: proprio in questa direzione allora si è deciso di realizzare una copertura – landmark, il cui significato urbano andasse al di là della mera funzione che svolge per la comunità.
Dal punto di vista tecnologico, la grande copertura è costituita da una maglia esagonale nervata, di larghezza pari a 750 mm per modulo. Gli spazi esagonali cavi della maglia sono alternativamente chiusi con pannelli opachi o con elementi fotovoltaici, oppure lasciati aperti laddove si è voluto incanalare la luce puntualmente, come in corrispondenza del perimetro dell’edificio esistente e della cassa scale aperta. Dal punto di vista planimetrico, il tetto segue in maniera irregolare la geometria dell’isolato, ed è costituito da numerose “pieghe” che seguono angolazioni studiate per garantire la resa ottimale dal punto di vista della ventilazione per le turbine eoliche installate e dell’irradiazione solare per i pannelli fotovoltaici.

UNA PIAZZA: un nuovo scenario urbano
Lo scenario urbano si trasforma: la geometria della struttura si interrompe in corrispondenza degli ingressi generando uno spazio pubblico al di sotto della grande copertura. Si delinea una sorta di piazza, un luogo di sosta che abbatte il confine tra l’edificio e la strada. La piazza simboleggia la volontà di creare uno squarcio all’interno del muro di cinta che fa da basamento alla struttura, con un taglio che intercetta l’asse viario sud-nord. In questa nuova prospettiva l’estraneità della struttura si annulla, interagendo con l’intorno e abbandonando il suo carattere di fortezza.
MASHRABIYA: interni riconsiderati sotto gli aspetti di luce e privacy
La Mashrabiya è un disegno di matrice fortemente geomerica che trova origine nel mondo Arabo/Islamico, utilizzato nelle case come un dispositivo di ombreggiamento contro i raggi del sole. Di solito è fatto di legno intagliato e usato come una seconda pelle per porte e finestre. La Mashrabiya è utilizzato anche per mantenere la privacy di una casa dall’esterno, mentre gli utenti possono comunque osservare la strada dall’interno. In questo progetto alcuni degli spazi da progettare erano degli appartamenti privati. Pertanto, abbiamo dovuto fare in modo di fornire adeguata privacy e mantenere il punto di vista principale della zona circostante, il mare e la montagna. La soluzione è stata l’uso del disegno Arabesque Mashrabiya, reinterpretato secondo una logica random e distaccandosi dalla classica applicazione della seconda pelle, si è collocato, tramite serigrafia sulle superfici vetrate, per ottenere lo stesso effetto della Mashrabiya tradizionale, ma in chiave moderna. Ciò permette una ampia e chiara visione dello spazio circostante e fornisce una bella luce ed un magnifico effetto ombra all’interno degli spazi abitativi. Ha ridotto la quantità di calore che all’interno dello spazio ed ha agito come un dispositivo di ombreggiatura buona. Ha inoltre garantito la privacy di cui hanno bisogno gli utenti dell’ appartamento senza perdere la vista dall’esterno.

Gruppo di Progetto:
• Mario Cucinella (direttore)
• Federico Verderosa (tutor)
• Giulio Carra
• Luigi Cimmino
• Claudia Gamba
• Sarah Khawaja

Tutor Prof. Federico Verderosa

A point of view, un edificio, un concetto, più direzioni.

Il gruppo si è misurato sin dall’inizio con il tema proposto attraverso un atteggiamento volto al rispetto e alla valorizzazione delle risorse e delle potenzialità del luogo. Quest’approccio ha prodotto varie idee e spunti progettuali tesi, in prima battuta, al mantenimento della struttura attualmente abbandonata. Tuttavia nel corso della settimana, riflettendo insieme sul valore della stessa, sugli esigui costi (economici ed energetici) necessari per la sua demolizione e sulle enormi potenzialità di una progettazione libera da vincoli formali e strutturali, si è deciso di considerare l’abbattimento dell’ecomostro come punto di partenza per la sua trasformazione in eco-beauty.
Il processo progettuale quindi, libero da vincoli formali e strutturali, è orientato all’ottimizzazione delle risorse a disposizione: i punti di vista. Le diverse visuali fruibili dal sito (quella verso il mare, verso la montagna e la strada) diventano quindi le direttrici secondo cui si orientano i vari volumi che compongono l’edificio. Questi snelli parallelepipedi si sovrappongono l’uno all’altro, in modo apparentemente casuale (come le bacchette nel gioco dello “shangai”), generando una composizione dinamica che, seppur differenziandosi dalla compatta tipologia edilizia locale, riesce ad integrarsi nel contesto senza deturparlo, ma al contrario valorizzandone le potenzialità. I volumi infatti si configurano come una sorta di cannocchiali che inquadrano ed indirizzano la vista di chi vi si trova dentro verso un punto sempre diverso, privilegiando ora una direzione ora un’altra in funzione del diverso carattere di ogni spazio. Questa differenziazione dei volumi si riflette anche sul piano materico: ogni cannocchiale è realizzato in un materiale diverso (corten, pietra verde locale, pietra lavica, travertino e cemento bianco) conferendo ulteriore dinamismo al complesso. Anche la distribuzione delle aperture è studiata per accentuare la forte direzionalità dei volumi: i fondi dei cannocchiali sono totalmente vetrati per inquadrare al meglio il paesaggio mentre le pareti laterali dei volumi sono quasi interamente cieche, a meno di alcune aperture molto piccole e concentrate che fanno arrivare la luce all’interno degli ambienti creando un interessante gioco di luci ed ombre. Le funzioni pubbliche (locale piantone, uffici, celle depositi) sono concentrate nelle due stecche del piano terra immerse nel grande giardino pubblico in cui si inserisce l’edificio che privo del tradizionale muro di cinta invalicabile viene si integra totalmente con lo spazio urbano. L’intersezione tra i vari volumi genera dei punti che ben si prestano alla localizzazione degli spazi comuni, come la corte centrale che funziona da pozzo di luce e camino di ventilazione soprattutto per il piano terra dove sono localizzati gli uffici che spesso vanno in contro a problemi di areazione. Attorno alla corte, nell’incrocio dei vari parallelepipedi si articolano anche i collegamenti verticali con gli ambienti residenziali disposti al primo e secondo piano. L’orientazione dell’ultimo volume ben si presta anche all’uso della sua copertura come superficie fotovoltaica che contribuisce al funzionamento energetico dell’edificio.
In conclusione la futura caserma tende a relazionarsi con il contesto attraverso un continuo rimando dall’interno verso l’esterno e viceversa configurandosi, ora come un punto d’osservazione per chi vi si trova dentro, ora come un elemento diverso e quindi referenziale per chi lo osserva dal di fuori.

Tutor Prof. Linda Nubani

DOPPIO GIOCO

L’area di intervento è posizionata nella parte alta di Forio, ed è caratterizzata dalla presenza di uno scheletro anonimo in cemento armato che si erige al centro di un lotto di forma irregolare, concepito secondo un’ottica edilizia speculativa che dimentica e nega ogni relazione con il territorio in cui vive. Il progetto consiste nel completamento del fabbricato grezzo da adibire a nuova stazione dei Carabinieri, con l’eliminazione dell’ultimo piano della struttura come richiesto dalla Soprintendenza. Di fronte a tali necessità emerge la volontà di conferire un’identità ad un edificio che originariamente avrebbe dovuto ospitare una importante funzione pubblica e che oggi si presenta come un “ecomostro” senza alcuna qualità architettonica. La scelta progettuale di partenza ha riguardato tuttavia il mantenimento di gran parte della struttura originaria, che si presenta in buone condizioni di conservazione e risulta caratterizzata da luci sufficientemente ampie per prevedere un’adeguata rifunzionalizzazione degli spazi interni. Tale opzione, motivata tra l’altro da ragioni di carattere ambientale legate alla riduzione della quantità di rifiuti da smaltire in seguito alla demolizione, si rivela una scelta che consente di ridurre significativamente i costi per la realizzazione del nuovo edificio.
Il concept architettonico nasce dalla collisione e dalla fusione di una serie di elementi derivanti dall’analisi del sito e dal contesto ambientale e antropico in cui l’area si inserisce, quali: i fattori climatici, con particolare riferimento al soleggiamento e alle condizioni termoigrometriche, i materiali e tipologie costruttive del luogo, a cominciare dall’estetica dei muri a secco della tradizione contadina, fino alle case a patio e alle scale esterne e alle terrazze che guadagnano l’orizzonte e la molteplicità dei panorami ischitani, sospesi tra il mare e il monte Epomeo. Accanto a questi input e alle suggestioni che ne derivano, un peso rilevante hanno avuto anche considerazioni di carattere funzionale e distributivo, puntando, per la realizzazione della nuova caserma, ad un’organizzazione spaziale efficiente in relazione alle diverse funzioni previste, che vanno dagli spazi degli uffici pubblici e di accoglienza, agli spazi privati e protetti degli archivi, delle armerie e delle celle di detenzione, fino agli spazi di carattere residenziale per gli ufficiali e le altre forze dell’ordine di stanza nell’edificio.
Il nuovo edificio vuole porsi come elemento in grado di interagire con il paesaggio circostante e con le tipologie edilizie del luogo diventando, grazie alla posizione strategica su cui sorge, punto di riferimento in grado di attirare l’attenzione da ogni angolazione se ci si trova nelle vicinanze, fino a scomparire visto da lontano tra le costruzioni di Forio, senza mai imporsi all’interno di un paesaggio fatto di costante fusione tra edifici e ambiente naturale.
Il progetto si articola mediante un involucro centrale costituito dallo scheletro esistente rivestito con materiali leggeri e completato con sistemi di chiusura prevalentemente trasparenti, a cui fa da contrappeso una pelle esterna massiva che lo avvolge, distanziata da esso di pochi metri, realizzata in tufo verde, pietra tipica dell’isola, riproponendo l’estetica dei muri di contenimento dei terrazzamenti, dette “parracine”, che scandiscono il paesaggio locale. Le tradizionali case ischitane, che si intrecciano e si snodano intorno ad un’ambiante comune, hanno inoltre offerto un metodo per la reinterpretazione dell’architettura sia dal punto di vista spaziale e distributivo che bioclimatico. L’involucro esistente, a seguito della demolizione dell’ultimo piano e delle scale in cemento armato è stato inoltre sventrato nella parte centrale in modo da realizzare un patio. Si tratta di un “fulcro” che costituisce l’elemento di snodo e distribuzione degli ambienti interni, nonché il centro attorno a cui gravita tutta la nuova struttura. Il patio funge inoltre da regolatore climatico, funzionando come camino solare atto a migliorare il sistema di ventilazione naturale e come elemento captatore di luce per l’illuminazione naturale degli ambienti . L’identità dell’edificio si svela anche attraverso un gioco di luci che dona all’opera armonia con il contesto, si restituisce un dialogo tra il luogo e l’architettura. Una sorta di linguaggio della luce, sia naturale che artificiale. La luce naturale viene canalizzata all’interno in maniera ben studiata, quella artificiale si snoda verso l’esterno ed entrambe vengono concepite come un materiale organico: elemento di racconto dell’opera. Infatti la luce insieme alla ventilazione gioca infatti un ruolo fondamentale nel progetto.

La seconda pelle, il collegamento perimetrale, il verde e il patio offrono infatti un’ottima integrazione tra luce diffusa e luce diretta nei diversi periodi dell’anno. Il verde prende forma e spazio sia all’interno del patio sia nel collegamento perimetrale consentendo una mitigazione della temperatura nella stagione estiva.
Le funzioni della caserma sono state organizzate secondo una logica semplice con il posizionamento di quelle di relazione con il pubblico nella parte est, meglio collegata alla strada, quelle più riservate nella parte più nascosta ad ovest, mentre sul primo livello trovano spazio i vari alloggi. Seguendo la logica di distribuzione intono al patio, al piano terra sono stati disposti tutti gli uffici amministrativi e gli ambienti aperti al pubblico, mentre i locali di servizio quali celle, archivio e armeria sono stati collocati sul lato ovest con distribuzione autonoma nella logica di maggior sicurezza e protezione. Al piano primo sono stati disposti due appartamenti e la foresteria assicurando a ciascuno sia l’affaccio nel patio sia l’affaccio verso l’esterno, grazie anche alla realizzazione, nella logica della privacy, di terrazzini a sbalzo che si ancorano alla pelle esterna. Il manufatto termina con un’ampia terrazza che si apre a 360° verso il panorama dell’isola, dal mare alla montagna, privilegiando così non solo la visuale predominante ovest est. I collegamenti verticali sono garantiti da rampe di scale che si sviluppano lungo il perimetro esterno della scatola centrale, protette dalla pelle tufacea esterna ed illuminate dalla stessa grazie alla disposizione armonica su di essa di feritoie più o meno fitte che permettono di incorniciare porzioni del panorama visibili durante il percorso. Il progetto è completato dalla riconfigurazione degli spazi esterni, intesi come un nuovo spazio pubblico a disposizione della comunità locale attraverso la realizzazione di una piazza alberata che, attraverso un leggero dislivello del suolo, guadagna la vista sul mare protetta dalla presenza del grande muro di tufo verde, che a sua volta inquadra l’orizzonte dal lato opposto verso la montagna.
È proprio la pelle tufacea, la “parracina”, immagine formale di forza e consistenza che si contrappone all’ involucro esile, leggero e trasparente che protegge, a costituire l’anello mancante in grado di relazionare lo “scheletro” al contesto, sia per le sue caratteristiche materiche sia per la sua configurazione spaziale. Questa pelle inoltre integra l’effetto camino del patio grazie “all’intercapedine” che forma con l’involucro creando così un altro moto di ventilazione naturale. Un’immagine forte e impenetrabile mitigata dalla presenza di feritoie che tagliano a ritmo armonico la “cinta muraria”, un massa che sbriciola delicatamente per lasciar penetrare il panorama. Combinando lo “scheletro” e la “parracina” ne emerge un’opera semplice e di grande impatto visivo che tuttavia non “urla” la sua presenza, ma si integra in maniera discreta nell’ambiente circostante. Vista dall’esterno appare una sorta di fortezza medievale, ma l’inganno è svelato in un solo punto della quinta muraria. Un angolo smussato della pelle, che costituisce l’ingresso alla caserma, lascia intravedere il doppio gioco dell’opera, il continuo dialogo tra massa e trasparenza, tra forza e fragilità, pieno e vuoto , aperto e chiuso.

Tutor Prof. Francesco Rispoli e Prof. Mattia Leone